Nel 1917, in mezzo alle due rivoluzioni, quella di febbraio e quella d’ottobre, esce a Kiev un libro tanto memorabile, quanto ingiustamente dimenticato, Il popolo russo in guerra. A scriverlo è un’infermiera trentaseienne, Sof’ja Fedorčenko, appena rientrata dal fronte dove ha assistito i feriti di quel conflitto che costerà alla russia zarista due milioni di morti. In queste pagine non troviamo lo sguardo personale dell’autrice sulla Grande guerra, bensì le voci di decine di soldati senza nome, contadini e operai persi in una carneficina ai loro occhi incomprensibile e destinata da lì a breve a trasformarsi in lotta di classe aperta. refrattaria all’enfasi patriottica di tanti suoi colleghi letterati, la Fedorčenko si farà interprete di un’umanità subalterna e sofferente, condannata altrimenti all’invisibilità.

Un montaggio originalissimo di voci che, riproducendo le cadenze della parlata contadina, dà spazio agli umori più disparati: la fedeltà cieca verso i superiori e la tentazione di rivolgere le armi contro chi ha mandato il popolo a morire; la nostalgia struggente di casa e la voglia di cominciare una nuova vita; l’odio per il nemico e la scoperta dell’altro; la violenza subita e inferta. Pagine a un tempo epiche e laconiche che restituiscono il ritratto collettivo del soldato russo, senza censure né abbellimenti.

 

Vado alla finestra, toc-toc… La contadina apre, è una contadinella timida, tace e trema. Le chiedo del pane. Alla parete c’è una credenza, prende pane e formaggio, e mi mette il vino sul fornello, a riscaldare. Mangio finché il cibo non mi esce dalle orecchie. Penso: niente al mondo mi costringerà ad andarmene. Quand’ecco sento di nuovo: toc-toc. La contadina apre, come a me. Guardo e vedo un austriaco che irrompe nell’izba… Ci guardiamo, mi va pure di traverso il boccone… non sappiamo che fare… Lui si siede, prende il pane e il formaggio. Se lo sbafa non peggio di me. A lui il vino la contadinella glielo dà bello caldo, e pure due tazze. Ce lo beviamo come due bravi compagni. Mangiamo, beviamo e poi ci distendiamo sulla panca, testa contro testa. L’indomani mattina ce ne andiamo. Là c’era nessuno a comandarci

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Sof’ja Fedorčenko (1880-1959). Figlia di un ingegnere russo e di un attrice zigana francese, trascorre la propria infanzia presso una famiglia di contadini nel villaggio di Kochma (governatorato di Vladimir), in un mondo “ancora popolato di favole, leggende e antichi canti”, e poi a Parigi, a casa del patrigno. dopo il ginnasio si iscrive alla facoltà di legge dell’Università di Kiev, senza tuttavia terminare gli studi. Allo scoppio della prima guerra mondiale si reca al fronte come infermiera, restandovi fino al 1916. Da quest’esperienza nascerà la prima parte del Popolo russo in guerra, che esce prima su rivista e poi in volume a Kiev nel 1917 con il sottotitolo Appunti dal fronte. Accolto entusiasticamente da Aleksandr Blok, Sergej ejzenštejn e Maksim Gor’kij e subito tradotto in inglese, francese e tedesco, il libro si attirerà nel 1928 gli strali del critico stalinista demjan Bednyj e non sarà più ristampato in Urss fino al 1990. Autrice prolifica per l’infanzia, la Fedorčenko scrisse anche Pavel Semigorov, una trilogia narrativa d’ispirazione storica ambientata nel Settecento, durante la rivolta contadina di emel’jan Pugačev. «Sono pezzi brevi, ma in ciascuno di essi c’è il respiro che abbiamo imparato a conoscere dai libri lunghi… è il quadro più fedele e veritiero che io conosca della Grande guerra, non scritto da un uomo di lettere, ma parlato da uomini che, senza saperlo, sono tutti scrittori». Elias Canetti, Il cuore segreto dell’orologio.