Due tra i maggiori scrittori del Novecento europeo, raccontano – da testimoni – la racija dell’esercito e della polizia ungherese detta I giorni freddi di Novi Sad. Rastrellamenti, fucilazioni e tra le acque ghiacciate del Danubio vengono aperti varchi per gettarvi i corpi. La Jugoslavia viene invasa nell’aprile 1941, l’Ungheria – alleata del Terzo Reich – occupa la Vojvodina, rivendicandone la continuità territoriale con la pianura pannonica in nome della ‘Grande Ungheria’. Alle prime azioni di resistenza l’esercito magiaro e le milizie paramilitari rispondono con le stragi degli abitanti dei villaggi di Zsablya e Carg e con la grande strage di Novi Sad: 2863 uomini e donne, 147 bambini e 299 anziani. Tre giorni – il 21, 22, 23 gennaio 1942 – che Danilo Kiš, ragazzino, e Alexandar Tišma, diciassettenne, vivono in prima persona e narrano in Salmo 44 e ne Il libro di Blam. I morti di Novi Sad – l’intera comunità ebraica, serbi, croati, slovacchi, rumeni, ruteni, armeni… – segnano una presa di coscienza nuova. La repressione fallisce e inizia sugli argini del Danubio la fine del progetto elitario e piramidale della contrapposizione ‘etnica’ perseguito con sistematicità dagli occupanti. Il movimento di Liberazione diventa unitario.

Nel libro è contenuta una sezione di 12 pagine con tavole in bianco e nero e a colori.

 

A due o tre metri dalle cabine, era stato praticato un buco sopra il quale avevano collocato una tavola – che poi era il vecchio trampolino per i tuffi -, di tanto in tanto uno in abiti civili – che era il custode dello stabilimento -, quando il buco si intasava, spingeva i cadaveri sotto il ghiaccio servendosi di una lunga pertica con un uncino in cima

(Danilo Kiš, Salmo 44)

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Danilo-Kis

 

 

 

 

 

 

Danilo Kiš (Subotica, 1935 – Parigi, 1989) figlio di Eduard, ispettore capo delle ferrovie statali ebreo-ungherese e di Milica Dragičević, originaria di Cetinje, Montenegro. Nella post-fazione a Mansarda descrive l’irruzione dei soldati ungheresi nella casa di Novi Sad e l’arresto del padre «…i gendarmi e i soldati irrompono in casa, sui fucili brillano le baionette. Il padre mostra al gendarme i documenti, il gendarme li restituisce, il padre prende dall’attaccapanni il cappotto e il cappello ed esce con loro». È il principale scrittore moderno jugoslavo. In italiano pressoché tutta la sua opera nei tipi dell’editore Adelphi, dai racconti ai romanzi ai saggi: Una tomba per Boris Davidović; Giardino, cenere; Enciclopedia dei morti; Clessidra; Dolori precoci; Homo poeticus.

 

 

 

 

 

 

 

Alexandar Tišma (Horgoš, 1924 – Novi Sad, 2003) nato da madre ebrea e da padre serbo in un piccolo villaggio sulla frontiera con l’Ungheria, a dieci chilometri da Subotica. Passa infanzia, giovinezza e gran parte della sua vita a Novi Sad. Insieme a Danilo Kiš rappresenta l’ala mitteleuropea della letteratura serba. Negli anni del collasso della Jugoslavia e della guerra civile si rifugia in Francia lavorando come bibliotecario. Ha assistito alla fine del proprio paese, alla deriva nazionalista e ai bombardamenti Nato della primavera 1999 sulla Jugoslavia e sulla sua città. In italiano L’uso dell’uomo (Jaca book, Milano, 1988); Scuola di empietà (e/o edizioni, Roma, 1988); Pratiche d’amore (Garzanti, Milano, 1993); Il libro di Blam (Feltrinelli, Milano, 2000); Kapò (Zandonai, Rovereto, 2010).